Il bambino: dalla comunicazione preintenzionale alla comunicazione intenzionale

Intorno ai 6 mesi di vita il bambino comincia ad interessarsi ad oggetti ed eventi esterni alla diade e verso i 9 mesi si verificano i primi episodi di attenzione condivisa, che evidenziano l'intenzione comunicativa del bambino e il passaggio dalla comunicazione preintenzionale a quella intenzionale.

Possiamo parlare di intenzione comunicativa comunicativa quando il bambino sa produrre comportamenti che hanno il valore di segnale e li produce al fine di soddisfare i propri scopi o di raggiungere particolari obiettivi.

Fin dalla nascita il bambino si relaziona con il mondo esterno mettendo in atto comportamenti che sono l’automatica conseguenza di uno stato interno. Tali comportamenti non sono ancora eseguiti allo scopo di raggiungere un certo effetto su chi vede o ascolta; sono gli adulti ad interpretarli come comunicativi e a reagire ad essi. Questa fase comunicativa del bambino viene definita preintenzionale: il bambino, attraverso i suoi comportamenti, segnala che ha bisogno di qualcosa ma non in modo intenzionale, dato che non è ancora in grado di indicare quello di cui ha bisogno; sono le abilità interpretative della madre e dei caregivers ad individuare quello di cui necessita.  Inoltre, tra i 2 e i 6 mesi, il bambino, oltre a segnalare a chi si prende cura di lui bisogni di ordine fisiologico attraverso il pianto, gli sbadigli e i sorrisi, inizia le sue prime vocalizzazioni, che si inseriscono nei turni verbali del genitore (proto-conversazioni), dando vita all’intersoggettività, alla condivisione di emozionalità e affetto.

Se fino all’età di 4 mesi gli scambi comunicativi avvengono in contesti diadici, progressivamente, intorno alla metà del primo anno di vita, il bambino comincia ad interessarsi ad oggetti ed eventi esterni alla diade. A circa 9 mesi di vita emergono i processi di attenzione condivisa, in cui sia la sua attenzione che quella della madre è rivolta ad un oggetto o evento esterno alla diade.  E’ in questo periodo che si compie il passaggio dalla comunicazione preintenzionale a quella intenzionale: il bambino inizia a comunicare in modo intenzionale; ovvero, sa di produrre comportamenti che hanno per lui il valore di segnale e li produce al fine di soddisfare i propri scopi o di raggiungere particolari obiettivi, in un contesto esplorativo e comunicativo.  Egli, dunque, comprende di essere un agente attivo nel mondo circostante, si serve di mezzi per raggiungere i propri scopi e sa distinguere i mezzi dai fini.

Il bambino, in questo stesso periodo, comincia a intendere, in modo emergente e semplice, che anche gli altri sono agenti indipendenti, possessori di intenzioni diverse dalle proprie, le quali possono essere condivise. In luce, si intravede quello che diverrà il complesso mondo metacognitivo del bambino e poi del ragazzo.

In questo stesso periodo, il bambino, non avendo ancora raggiunto abilità linguistiche espressive, si serve dei mezzi che ha a propria disposizione per comunicare intenzionalmente con gli altri; nello specifico, i gesti comunicativi.

Tra i 9 e i 12 mesi i bambini iniziano produrre i primi gesti comunicativi che hanno una natura triadica, cioè che vengono utilizzati per indirizzare l’attenzione dell’interlocutore verso un’entità esterna e non verso il bambino stesso.

I primi gesti a comparire sono i cosiddetti gesti deittici quali l’indicare, il mostrare e il dare. Essi esprimono un’intenzione comunicativa, si riferiscono ad un oggetto o ad un evento esterno, sono fortemente legati al contesto al quale bisogna riferirsi ad esso per interpretarli. L’ intenzione comunicativa è segnalata principalmente dalla modulazione dell’uso dello sguardo, rivolto all’interlocutore, prima, durante e dopo l’emissione del gesto.

I gesti deittici possono essere prodotti con due intenzioni comunicative: a fine di richiedere,  per chiedere un oggetto desiderato, ad esempio il bambino indica il biberon quando ha sete, o un giocattolo di interesse, che vuole ma non riesce a raggiungere; dichiarativa, al fine di condividere con l’interlocutore l’interesse o l’attenzione su un evento esterno, ad esempio il bambino indica un’immagine sul libro per condividerla con la mamma, guarda la madre, guarda l’immagine e torna nuovamente a guardare la madre, triangolando in questo modo i processi e le fasi dell’attenzione condivisa e dell’indicare.

Tra i gesti deittici quello più studiato e rilevante è certamente il gesto dell’indicare (anche detto pointing).

È un gesto universale che non viene abbandonato nemmeno dopo l’acquisizione del linguaggio verbale ed è uno dei mezzi più efficaci, in assenza del linguaggio, per comunicare intenzionalmente con gli altri. Tale gesto deve essere accompagnato da altri comportamenti che segnalino la volontà comunicativa, ad esempio, lo sguardo diretto all’interlocutore e allo stimolo o la produzione di vocalizzi.

Intorno ai 12 mesi il bambino inizia a produrre i gesti referenziali o rappresentativi che, oltre a esprimere intenzionalità comunicativa, rappresentano anche un referente specifico (aprire e chiudere la mano per “ciao”). Vengono appresi in situazioni di routine o giochi con l’adulto e prevalentemente per imitazione, per poi decontestualizzarsi ed essere utilizzati più per scopi comunicativi. Essi sono predittivi del linguaggio in quanto rappresentano il simbolo e il referente così come le parole.

Contemporaneamente alla comparsa dei gesti referenziali, tra gli 11 e i 13 mesi, il bambino inizia a produrre le sue prime parole. Questa fase è preceduta da una fase preparatoria in cui il bambino produce i cosidetti vocalizzi, per poi passare alla lallazione intorno ai 6-7 mesi, quando produce abbinamenti consonante-vocale con le stesse caratteristiche delle sillabe, spesso ripetute due o più volte (“ma-ma-ma”). In seguito, intorno ai 9 – 10 mesi, il bambino comincia a produrre una lallazione variata, o  successivamente, tra i 9-10 “babbling”, in cui produce degli accostamenti sillabici complessi, per esempio “ba-da”.

Ci stiamo avvicinando ora alla fase del linguaggio! Dopo le vocalizzazioni, infatti, emergono quelle produzioni che possiamo più inquadrare come appartenenti alla categoria dei vocalizzi,  ma che già rientrano nella categoria del linguaggio: stiamo parlando delle cosiddette protoparole, delle onomatopee (“brum brum” per intendere “macchina) e delle prime parole. Le onomatopee vengono usate spesso dal bambino perché usate prima dal genitore quando si rivolge a lui sin dalle prime interazioni di gioco.

Le onomatopee sono seguite dalle protoparole, che sono simili alle parole che vanno a significare ma non corrette grammaticalmente: per esempio il bambino dice “pappa” per scarpa.

Ecco le prime parole! Verso gli 11-13 mesi il bambino produce le sue prime parole, che si riferiscono ad oggetti o nomi di persone familiari, e sono fortemente contestualizzate.

In questa fase il bambino comprende molte più parole di quelle che produce.

Tra i 18 e i 24 mesi vi è in genere un veloce sviluppo del vocabolario, definito anche “esplosione del vocabolario”. In questa fase il ritmo di espansione del vocabolario può arrivare anche a 5 o più nuove parole (fino anche 40!!) per settimana, cosicché alla fine del periodo in questione il vocabolario complessivo si attesta mediamente sulle 300 parole, ma in alcuni casi può raggiungere anche 600. Si ritiene che questo possa  accadere in quanto il bambino diventa capace di attribuire alle parole una valenza propriamente simbolico e si rende conto quindi che non soltanto tutte le cose hanno un nome, ma anche che c’è un nome per qualsiasi cosa. Capendo questo e con la spinta naturale della curiosità, ecco che il motore dell’apprendimento si mette in moto e spiega l’esplosione del linguaggio! La capacità di attribuire piena autonomia simbolica alla parola fa sì che il bambino, non soltanto apprenda nuovi vocaboli con grande rapidità, ma impari anche ad usare flessibilmente le parole che già conosce in una varietà di contesti. Con l’incremento del vocabolario il bambino, quindi, attribuisce referenzialità alla parola, staccandola dal contesto di azione nel quale la produceva inizialmente e applicandola in altri contesti: per esempio, se prima diceva “leone” solo quando giocava con il proprio peluche, ora dirà “leone” anche quando vede un’immagine nel libro!

Non solo! Nella fase in cui non è ancora in grado di produrre le prime frasi, ma anche durante le prime fasi dello sviluppo lessicale, il bambino accompagna spesso la parola con il gesto deittico o referenziale, riuscendo così ad esprimere una relazione complessa tra due elementi: per esempio indica un bicchiere dicendo “acqua” quando ha sete.

 

 

Intorno ai 20 mesi di vita, avviene la combinazione di due o più parole in frasi. Si tratta prevalentemente di frasi telegrafiche, inizialmente con l’omissione del verbo, per esempio “mamma pappa”. In questa fase, per la comprensione della frase è importante il contesto nel quale viene prodotta.

Sono state identificate 4 fasi, da Cipriani, Chilosi, Bottari e Pfanner (1993, citato in Caselli e Casadio, 2002), che il bambino attraversa prima di arrivare alla produzione di una frase completa, corretta morfologicamente e sintatticamente, partendo dalla produzione di prime combinazioni di parole. Le fasi individuate sono le seguenti:

Fase presintattica (19-26 mesi): caratterizzata da frasi telegrafiche, costituite per lo più da parole singole prodotte in successione e senza di verbo (“pappa mamma”, “bimbo dà”).

Fase sintattica primitiva (20-29 mesi): caratterizzata ancora da enunciati telegrafici, da un graduale aumento degli enunciati semplici, e dall’inizio della produzione di frasi complesse anche se prive di connettivi interfrasali, come articoli e preposizioni (per esempio “bimbo prende cucchiaio mangia minestra”).

Fase di completamento della frase nucleare (24-33 mesi): non è più presente il linguaggio telegrafico; prevalgono ancora sugli altri tipi di frase le frasi nucleari, prodotte con morfemi liberi, e le frasi ampliate con espansioni del nucleo (“il bambino mangia col cucchiaio”). Le frasi complesse aumentano e si diversificano per tipologia: coordinate, subordinate e inserite implicite con la comparsa anche di frasi inserite esplicite. Una parte significativa delle frasi complesse è prodotta in forma completa (“il bambino prende il cucchiaio e mangia la minestra”). Insomma il linguaggio si fa più complesso e meno infantile!

Fase di consolidamento e generalizzazione delle regole in strutture combinatorie complesse (27-38 mesi): le frasi complesse sono per la maggior parte complete da un punto di vista morfologico. Compaiono diversi connettivi interfrasali di tipo temporale e causale (“dopo”, “allora”, “invece”, “perché”), che cominciano ad essere usati in modo stabile all’interno di frasi coordinate e subordinate. Infine sono prodotte anche le frasi relative (“Ho visto Lorenzo che giocava”).

Per concludere, è necessario precisare che lo sviluppo comunicativo e linguistico del bambino avviene secondo una serie di tappe che si susseguono in un determinato ordine, condiviso da molti bambini, ma, al tempo stesso è caratterizzato da grandissime variabili individuali, che riguardano non solo i tempi ma anche i modi e le strategie di apprendimento, componenti che devono sempre essere prese in considerazione quando si osserva e si valuta lo sviluppo infantile.

Fonte: stateofmind.it

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